27 maggio 2013 | Intervista a Enrico Ratti

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Ben arrivato Richi, finalmente assieme per “confezionare” questo breve racconto della tua vita. Lo ammetto, estorto a forza e proprio per questo motivo preziosa fonte, che aiuta tutti noi “giovani duri” a conoscerti meglio.

 

Iniziamo subito, anche perché sono ansioso di conoscere la tua ultima fatica della quale ho qualche indiscrezione.

Raccontaci come nasce questa curiosa avventura e cosa stai per pubblicare.

Devo premettere che la mia famiglia è originaria di Premana, un paese di montagna situato tra la Valsassina e la Valtellina, in provincia di Lecco. Premana era ricca di miniere di ferro, e sin dal Medioevo l’attività principale della popolazione era lavorare il ferro ed i metalli. Nel Cinquecento i fabbri premanesi cominciarono ad emigrare stabilmente a Venezia, che offriva allora grandi opportunità di lavoro. Per qualche secolo vi è stata un’emigrazione di massa di artigiani del ferro premanesi a Venezia, dove aprirono moltissime botteghe (a metà del Settecento erano 120-140 circa). Inizialmente emigravano solo fabbri e garzoni (dai 10-12 anni in su), mentre le famiglie restavano in paese: normalmente, ogni due anni di lavoro a Venezia, godevano di sei mesi di ferie da trascorrere in famiglia. Nei tempi antichi compivano l’intero tragitto a piedi. La cosa straordinaria di questa emigrazione è che sia proseguita ininterrottamente sino alla prima parte del Novecento. Ancor oggi gli oriundi premanesi sono presenti con sette famiglie, o meglio cognomi: Bellati, Bertoldini, Fazzini, Gianola, Pomoni, Ratti, Tenderini, tutti in passato fabbri, ramai o coltellinai (alcuni lo sono tuttora).

Questa storia mi ha molto incuriosito e quindici anni fa ho iniziato, per hobby, una ricerca storica su questo fenomeno, sia a Venezia che a Premana, rovistando in un gran numero di archivi privati e pubblici, civili e religiosi.

Il quadro che è uscito dalla gran massa di dati raccolti mi ha consentito di scrivere un volume che attualmente è in corso di stampa e dovrebbe uscire in tempi brevissimi; si intitola “I fabbri di San Marco”. Alla fine del libro ho aggiunto anche la storia della mia famiglia, dal Quattrocento ad oggi, perché esemplifica, nel particolare, quello che avevo scritto in generale nei capitoli precedenti. Qualcuno considera inutile conoscere la propria storia e quella della propria famiglia, invece ti assicuro che da questa ricerca ho imparato molte cose ed alcuni principi di vita.

Quando nasce la tua curiosità per la natura, ed il tuo particolare interesse per gli Insetti?

Da quando ero bambino. Quando avevo nove anni mio zio Giuseppe (Bepi) Bombassei cominciò a portarmi a caccia con lui a Falcade, nel mese di settembre; questo per parecchi anni. Per me fu un’esperienza fondamentale. Pensa, a nove-dieci anni, alzarsi ogni mattina alle cinque (una volta addirittura alle tre di notte!), camminare tutto il giorno in montagna, imparare da mio zio a riconoscere gli uccelli e il loro verso … Non sono mai diventato cacciatore ma credo che la caccia sia il modo più primitivo di amare la natura, che può poi evolversi in altre forme, meno cruente. Comunque cominciai a collezionare animali impagliati, nidi, conchiglie, ed infine, quando avevo 12 anni, insetti. Nonostante gli studi classici mi laureai in Scienze biologiche; dopo la laurea passai tre anni all’Euratom di Ispra (Varese), per svolgere ricerche sulla sterilizzazione di insetti dannosi mediante radiazioni gamma; infine, tornato a Venezia, vinsi il concorso prima per conservatore, poi per direttore, del Museo di Storia Naturale. Così gli insetti sono diventati, oltre che un hobby, una parte del mio lavoro. Museo di Storia Naturale di Venezia Ratti 2007. Ho volutamente smesso, dando un taglio netto, il giorno in cui sono andato in pensione: questo per sviluppare nuovi interessi, nuove ricerche in altri campi (storia, usanze, dialetti di alcune popolazioni alpine. Mi sono convinto che, per un appassionato della ricerca, il tema della ricerca stessa sia secondario.

Mi puoi raccontare come hai conosciuto la Duri i Banchi e come sei entrato a farne parte?

L’ho conosciuta casualmente. Un mercoledì sera del novembre 1983 mi trovavo a cena al Milion con mia moglie: era la serata della Castradina, e c’era una grande tavolata vicino a noi, i Duri, che allora non conoscevo. La castradina era stata preparata da Silvano Bernardi, che gestiva il ristorante insieme a Gino Marascutto, entrambi soci della Duri i Banchi. L’ho assaggiata e credo che non ne mangerò mai più un’altra così buona: un’opera d’arte. A quel punto mi sono informato sulla Società, ho saputo che aveva finanziato il restauro del monumento a Goldoni (era l’80° anniversario della fondazione); questo mi è piaciuto, e da cosa nasce cosa. Uno dei miei “santoli” fu proprio il compianto Silvano Bernardi. Posso quindi dire che sono stato preso per la gola. Sono passati trent’anni …

Secondo te in questi anni la Società dei Duri come è cambiata?

A quei tempi la Società era molto diversa, molto più vicina a quella delle origini, tanto per capirci. Aveva una connotazione più “popolare”, per così dire. I liberi professionisti erano pochi, c’erano molti esercenti e commercianti, c’erano tre luganegheri (i fratelli Sirena e Mario Chizzali) che procuravano la materia prima per la serata dei Pecossi. I nuovi duri dovevano essere “raddrizzati”, cioè dovevano offrire lo spumante oppure lo zabaione a tutta la tavolata; anche alcune multe erano saldate con bottiglie di vino. A fine serata non si cantava solo l’inno della Società, ma anche “L’inno a Venezia” (Viva le glorie del nostro leon…”; in questo si distingueva Danilo Maddalena. C’era l’usanza che qualche socio, spontaneamente, offrisse un dono alla Società (un quadro, un vetro di Murano, un volume …). Questo era messo all’asta, per finanziare la società, oppure regalato ad un socio, sorteggiato mediante i numeri della tombola. Ricordo che l’allora numero uno, Bruno Marmoreo, che commerciava in selvaggina, una volta all’anno invitava tutti i duri ad una cena esclusivamente a base di selvaggina.

La beneficenza era come quella delle associazioni benefiche, un rivolo di piccole somme (le Grazie), senza interventi d’un certo peso.

Oggi la Società ha perso un po’ delle sue radici popolari, si avvicina di più al Lion’s o al Rotary, i liberi professionisti sono, direi, la maggioranza, almeno tra gli ultimi soci. Ha certamente acquistato più “peso”, è più conosciuta d’un tempo, grazie a varie manifestazioni ed a quell’insostituibile strumento, anche pubblicitario, che è il sito web.

A proposito di sito web, parliamo del primo sito del Museo di Storia Naturale che hai voluto con tutte le tue forze negli anni della tua direzione.

Ho conosciuto il computer all’inizio degli anni Settanta, quando ero a Ispra: allora non si chiamava computer ma “cervello elettronico”, ed occupava da solo un edificio di due piani. Ne ho immediatamente compreso le potenzialità per il mio lavoro, e quando sono usciti i primi PC, ne ho acquistato uno per il Museo: al Comune passavo per matto, erano i primi anni Ottanta. Con lo sviluppo del web ho deciso di dotare il Museo di un sito proprio, per diffondere informazioni sul Museo e sulle attività, non solo espositive, che vi venivano svolte. All’inizio ho cozzato contro un muro, sono stato persino diffidato, ma alla fine, grazie anche ai miei collaboratori, l’ho spuntata, ed i risultati si vedono in http://msn.visitmuve.it.

Hai altri hobby?

Ho avuto la rara fortuna di poter trasformare in lavoro il mio hobby principale, lo studio degli insetti. Per il resto amo la montagna e camminare nei boschi, soprattutto raccogliendo funghi, una cosa che mi piace moltissimo. Adesso, da pensionato, trascorro in montagna almeno quattro mesi all’anno, ininterrotti. Questo mi dà modo di coltivare altri hobby, come lo studio della cultura e del dialetto di Falcade (dove ho casa da cinquant’anni).

Per concludere, si può dire che la passione per la ricerca ti ha accompagnato per tutta la vita?

È vero, qualsiasi tipo di ricerca: insetti, storia, parole dialettali, nomi di località, funghi, qualsiasi cosa. Ricercare, possibilmente trovare, studiare, catalogare, riordinare, in tanti campi diversi, è per me una vera passione, che mi ha aiutato a superare qualche momento difficile della vita. Del resto Socrate, circa 2400 anni fa, scriveva: “una vita senza ricerca non è degna d’essere vissuta”. Per me aveva ragione.

Di seguito alcune notizie “datate” sulla vita di Enrico.

Nato a Venezia 10.7.1946; maturità classica al Liceo M. Foscarini; laurea in Scienze biologiche all’Università di Padova (1972); servizio di leva come Sottotenente d’artiglieria da montagna, Brigata alpina Julia (1972-73); ricercatore per l’università di Padova presso il Centro Comune di Ricerche Nucleari “Euratom” di Ispra (1974-77); conservatore al Museo di Storia Naturale di Venezia (1978-83); direttore dello stesso Museo (1983-2008). Pubblicazioni: circa 150 articoli su riviste scientifiche, un libro “Entomologia popolare veneta” edito dalla Enciclopedia Treccani. Pensionato (felice) da 1.4.2008. Sposato a Venezia 1982, vedovo dal 1993. Un figlio nato 1988.

Grazie Richi, arrivederci al prossimo appuntamento: la presentazione de “I fabbri di San Marco”.

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